domenica 5 aprile 2009

ART.04 - A casa nostra!!


Vedete quelle crepe?
Non sono solo crepe sui muri. Rappresentano le crepe che tantissime famiglie portano nel cuore.
Ferite mai guarite di gente che ha pagato con sacrifico delle case mai avute. O per meglio dire avute e poi abbandonate.

Come vi sentireste voi a dormire in un letto..e nella notte sentire continuamente dei fastidiosi scricchiolii che fanno pensare a qualcosa che da un momento all'altro vi cadrà in pieno volto.
Non deve essere certamente una sensazione rilassante al punto da farvi dormire sonni tranquilli.
Eppure è proprio quello che le famiglie di 600 abitazioni hanno provato a Messina.
Da tempo questo caso è stato forse dimenticato. Ma non per tutti. Non per loro.
Non per coloro che si sentono ancora oggi derubati di una cosa DOVUTA. Di una possessione di diritto ma mai concessa..o concessa solo per poco tempo. Un tempo minimo..inesistente visto che ha portato poi al completo abbandono della casa stessa.

Ma..se in Sicilia negli anni 80..anni in cui la Mafia faceva grossi affari..vi proponessero di venire ad abitare in una cooperativa chiamata "CASA NOSTRA"...cosa rispondereste?
In effetti un nome un po singolare.."tempi di mafia".."CASA NOSTRA". Ma quelle famiglie mai si potevano aspettare..che dietro tutto questo ci fosse l'ennesimo caso di MAFIA ORGANIZZATA A DERUBARE IL PROSSIMO, RICICLANDO IL PROPRIO DENARO.

Oggi..grazie anche alle testimonianze dei pentiti si è arrivati a sapere che:

Al boss Leonardo Greco farebbe riferimento la società SICIS dei fratelli Bruno, anch’essi di Bagheria, la quale dopo aver realizzato con un’impresa del conte Arturo Cassina numerosi alloggi popolari a Borgo Nuovo (Palermo), si trasferiva in quegli anni a Messina per edificare il complesso cooperativo Casa Nostra di Tremonti e il Complesso Peloritano a San Giovannello, entrambi al centro di importanti inchieste giudiziarie, compresa quella sul ‘buco’ del Banco di Sicilia con cui la SICIS di Bagheria risulterebbe esposta per svariati miliardi. Lo scorso dicembre la Procura di Messina ha accusato Michelangelo Alfano di concorso esterno in associazione mafiosa “per essere stato il referente a Messina di Leonardo Greco e di averne curato dal 1979 gli interessi insieme con Domenico Cavò e quindi con Luigi Sparacio, nella realizzazione del complesso edilizio Casa Nostra di Tremonti”. Alla base del procedimento le dichiarazioni dei pentiti Gaetano Costa, Rosario Spatola, Giovanni Vitale e Antonio Cariolo. “Per il complesso edilizio di Tremonti” secondo il Costa, “erano direttamente interessati Leoluca Bagarella, Luciano Liggio, Mariano Agate, Totò Riina, Leonardo Greco ed altri esponenti di Cosa Nostra, e vi sovrintendeva materialmente a Messina Tommaso Cannella sotto la supervisione di Michelangelo Alfano”. L’intero gotha della mafia con le mani in pasta negli affari della provincia dove “la mafia non esiste”.

Per tanto tempo Messina è stata considerata la città babba. La città dove la mafia non esiste. Oggi possiamo dire che non è stato propriamente cosi.
E mentre loro si sono fatto i loro conti...a modo loro, successivamente queste case costruite male, con materiali non idonei, e soprattutto su un terreno considerato franante (forse)..questi edifici hanno cominciato a cadere a pezzi. Ma molte case erano state in parte pagate.
Molte famiglie sono state costrette a lasciare la propria abitazione senza avere un posto dove andare.
Ne nacque una diatriba giudiziaria. Su case da demolire. Case venduta all'asta. Case di gente ostinata che le ha abitate a rischio della propria vita. Risarcimenti mai avuti. Un caos medievale che ancora oggi non ha avuto una fine giusta.

“Aspettiamo da trent’anni giustizia, ognuno di noi ha pagato migliaia di euro per comprare un’ abitazione, ma non abbiamo avuto nulla e non siamo stati tutelati dalle istituzioni”. Lo dice con voce affranta il pensionato Oscar Insam, una dei trenta soci del Consorzio Cooperativa “La Casa Nostra” che non hanno avuto la casa dopo aver pagato quasi tutta la somma prevista per l’acquisto dell’appartamento perché considerati morosi per poche centinaia di euro. Le loro casa infatti sono state poi vendute all’asta, ma per i soci questo non era possibile perché le cause che non avevano mai avuto il collaudo andavano demolite.

Il commissario liquidatore del consorzio del 2001, il ragioniere Placido Matasso, che attualmente ricopre l’incarico di revisore dei conti dell’Ospedale Piemonte, su mandato della regione Sicilia aveva invece messo le case all’asta. Ora Matasso è imputato in un processo per falso e truffa insieme agli ingegneri Gaetano Terranova, e Placido Restuccia che avrebbero certificato il collaudo delle abitazioni. “Il certificato di collaudo – spiega Matasso - è stato redatto anche dal Genio di Civile di Messina che attesta che le palazzine sono a norma. Questo è stato ribadito nel bando d’asta, i soci che non hanno pagato volevano solo restare ad occupare le case senza pagare nulla, gli altri soci hanno invece firmato il contratto”. Secondo i consorziati i fatti sono andati in maniera totalmente diversa. Si sono difatti auto definiti ‘ribelli’ proprio perché non avrebbero voluto sottostare alla vendita all’asta per quello che definiscono “un pretesto utilizzato nei loro confronti per farli tacere”.

Matasso per i soci “non avrebbe tenuto conto della relazione redatta nel maggio del 1999 dall’architetto Dario La Fauci. Qui veniva affermato che non è possibile presentare richiesta di sanatoria in assenza della relazione a struttura ultimata redatta dal direttore dei lavori, del collaudo statico e del certificato di conformità del progetto e di osservanza della legge sismica e dell’articolo 28 certificato dal Genio civile sulla regolarità di costruzione”.

Quindi per i soci “tutte le case sarebbero a rischio, non potevano essere messe all’asta e devono avere risarcimento”. Ipotesi confermata dall’imprenditore Carmelo Cascio che, con la sua ditta, secondo alcuni ingegneri incaricati dal commissario dello stesso consorzio, era stato indicato come l’artefice del dissesto dei fabbricati per un movimento franoso causato dagli scavi di sbancamento effettuati nello stesso periodo dalla sua azienda. Tesi smentita da ben tre perizie istituzionali. La prima disposta nel 1997 dal Gip di Messina Carmelo Cucurullo, la seconda dalla ‘Ismes’ di Bergamo, azienda leader nel campo europeo della sicurezza strutturale e una terza disposta dal pm di Messina Farinella.

In tutte e tre le perizie si evince che il dissesto non è stato provocato da un movimento franoso né, tanto meno da un calamità naturale, altra ipotesi tenuta in considerazione da un commissione tecnico scientifica nazionale. Il dissesto dei fabbricati secondo le perizie è invece da attribuire esclusivamente a negligenze costruttive come la mancanza di pali di fondazione, la scarsità dei materiali, la mancanza di collegamento tra i pali di fondazione e i plinti dei pilastri. Tra l’altro Cascio replica a Matasso affermando anche “che lo stesso Genio Civile in una lettera, nonostante avesse apposto i timbri nella perizia, non considera quello effettuato un vero e proprio collaudo.

Il percorso del Consorzio “La Casa Nostra”, nato nel 1976 con l’obiettivo di dare una casa a tanti messinesi, attingendo alle agevolazioni previste dallo stato, si è rilevata una storia costellata da tanti altri aspetti poco chiari. Basta considerare che le 600 abitazioni, sarebbero state realizzate dalla Sicis di Bagheria che secondo il Gip del tribunale di Palermo nel 1999 “era utilizzata dal defunto boss Michelangelo Alfano per riciclare i soldi sporchi della famiglia mafiosa facente capo a Leonardo Greco”. Anche i finanziamenti arrivati da banche e Regione sono stati oggetto di analisi da parte della magistratura.

Tra i più clamorosi i finanziamenti senza regole dati dall’Ircac, un finanziamento regionale dove sono stati elargiti sei miliardi di vecchie lire per arginare il movimento franoso di cui poi è stato dimostrata l’inesistenza e il finanziamento di 4 miliardi e mezzo di lire per realizzare opere di urbanizzazione primaria quando era ormai chiaro che le 600 case andavano demolite.

Molte abitazioni sono state infatti demolite come ordinato nel 1999 dal prefetto di Messina del tempo, Renato Profili, ma molte case sono ancora abitate nonostante i rischi evidenziati nelle perizie. Anche molti finanziamenti arrivati dalle istituzioni sono stati oggetto di indagini.

Nonostante un quadro così poco chiaro che vede coinvolte istituzioni, banche e politici e finanziamenti a cooperative e nonostante ci siano ancora diverse indagini da parte della magistratura, una soluzione definitiva per i problemi dei soci del consorzio non sembra esserci.

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